Il Biometano Agricolo: enorme opportunità per ripulire l’aria, decarbonizzare l’atmosfera e non solo

Negli ultimi decenni, il riscaldamento globale e l’aumento delle emissioni di gas serra sono diventati tra i problemi ambientali più urgenti. L’umanità si trova di fronte alla necessità di ridurre drasticamente l’impatto delle proprie attività sulla composizione atmosferica, promuovendo un sistema energetico più sostenibile a basse emissioni di carbonio. In questo scenario, il biometano agricolo emerge come una risorsa strategica per la transizione ecologica, poiché non solo consente la produzione di energia rinnovabile, ma svolge anche un ruolo attivo nella sottrazione e nello stoccaggio del carbonio e nel taglio della dispersione di ammoniaca in aria, cosa di cui non si parla mai.

Derivato dal trattamento del biogas – prodotto dalla digestione anaerobica di materiali organici – il biometano agricolo rappresenta notoriamente una delle soluzioni più efficaci per ridurre l’impronta di carbonio e favorire l’economia circolare. Gli impianti di biometano AGRICOLI non solo valorizzano i sottoprodotti agricoli organici trasformandoli in una fonte di energia pulita, ma contribuiscono anche alla riduzione delle emissioni di gas serra attraverso la cattura e la stabilizzazione del carbonio nei terreni agricoli. 

Ma questi impianti fanno molto di più: bloccano la liberazione di migliaia di metri cubi di ammoniaca emessa dalle materie prime organiche che altrimenti si decomporrebbero all’aria e ripulendo drasticamente e direttamente, l’aria. Perché l’ammoniaca è il precursore più importante delle polveri sottili!

Ma procediamo con ordine.

 

Il ruolo del biometano agricolo nella riduzione dei gas serra

Gli impianti Biogas e Biometano, che funzionano con deiezioni animali (in Germania quasi esclusivamente a deiezioni, con quote che superano l’80%) sottraggono milioni di metri cubi di gas metano ad effetto climalterante, gas che da più di un secolo invece si generano spontaneamente e naturalmente dalle deiezioni lasciate a contatto con l’aria negli allevamenti intensivi .Inoltre la fabbricazione di fertilizzanti di sintesi necessari alle colture intensive per l’alimentazione animale, utilizza ugualmente quantità considerevoli di energia fossile che si traduce in importanti emissioni di CO2.

Già per quanto descritto, è chiara l’azione enorme di sottrazione di gas serra dall’ambiente dei Biometano agricoli. Ma di decarbonizzazione si può parlare solo se la sottrazione è permanente, un principio fondamentale del concetto di sostenibilità.

Gli impianti di digestione anaerobica, con una vita utile di 30-40 anni, decarbonizzano l’atmosfera in modo molto rilevante, nel breve periodo; meno rilevante, ma stabilmente, nel lungo periodo.

In alcuni casi, il digestato di origine zootecnica può essere contaminato da antibiotici (nel caso di digestori agricoli), oppure da metalli pesanti, mentre il digestato da digestione anaerobica dei rifiuti organici può contenere anche microplastiche e addirittura PFAS (nel caso di digestori industriali alimentati con rifiuti organici urbani e fanghi industriali). Per garantire un impiego sicuro come fertilizzante, è essenziale controllare rigorosamente la qualità del digestato e prevedere trattamenti specifici, se necessario. La caratteristica però di ogni digestato, in quanto materiale organico, è il contenuto di Carbonio completamente sottratto dall’atmosfera, costitutivo di ogni materiale o materia prima/matrice di alimentazione di questi impianti. La trasformazione del digestato in un fertilizzante organico stabilizza il carbonio sottratto all’atmosfera, nell’humus. 

Il bilancio del Carbonio di questi impianti è sempre estremamente positivo e, cioè, questi impianti tutti indistintamente agricoli o industriali, consentono con il loro DIGESTATO, lo stivaggio di una montagna di carbonio organico nei terreni, e quindi la sua sottrazione dall’aria. 

La Maggioranza del mondo scientifico mondiale è concorde nell’affermare che il principale rischio derivante dall’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’aria, è l’effetto serra e la sua conseguenza è il cambiamento climatico. Indipendentemente dal fatto che sia scientificamente accertato o meno, che l’incremento di anidride carbonica nell’aria sia di origine antropogenica, oppure di origine naturale a causa delle variazioni periodiche dell’attività solare, il perseguimento della NEUTRALITA’ CARBONICA per ogni attività umana è un dovere imprescindibile. Perché infatti, l’immissione di anidride carbonica antropogenica CERTAMENTE SI SOMMA all’incremento globale di CO2, aumento le cui cause non sono perfettamente chiare. 

Quindi sì, gli impianti Biometano decarbonizzano l’atmosfera, perché permettono la sottrazione permanente dalla atmosfera di grande parte del “carbonio introdotto” per alimentarli, ma gli impianti di Biometano agricolo fanno molto di più, migliorando sensibilmente la qualità dell’aria.

Questa cosa va spiegata attentamente, rappresentando una conseguenza cruciale per la adozione di questa tecnologia.

biometano agricolo

 

Il ciclo dell’ammoniaca e le polveri sottili

C’è una questione che finora abbiamo tralasciato, relativa ai nitrati e l’ammoniaca, e che riguarda prioritariamente gli impianti Agricoli. Una questione importantissima connessa alle polveri sottili, i famigerati PM10, PM 2,5 ecc. 

L’ammoniaca libera in aria, è un dramma per la Pianura Padana e le polveri sottili: diversi studi confermano che una parte importate del pm10 nel bacino padano è composta da particolato secondario. Rilevante risulta essere la componente inorganica (solfato e nitrato di ammonio). Tra i precursori più importanti, l’ammoniaca prodotta dallo spandimento agricolo di liquami da zootecnia.

Il contributo delle emissioni di ammoniaca (NH3) ai livelli di particolato che si registrano in Pianura Padana è sostanziale, e l’agricoltura, soprattutto per la gestione delle deiezioni zootecniche e l’uso di fertilizzanti, ne è la principale fonte. L’ammoniaca è infatti uno dei precursori fondamentali della produzione di aerosol secondari inorganici (ASI) – che rappresentano una parte significativa dei PM10 – ovvero quella componente di particolato non direttamente emessa, ma che deriva da reazioni chimiche nell’atmosfera di inquinanti gassosi già presenti, tra cui ossidi di azoto (NOx) e di zolfo (SOx) derivanti da traffico, impianti termici e attività industriali. 

 

Il CMCC (Centro Euro mediterraneo sui cambiamenti climatici)

Il progetto INHALE (Impact on humaN Health of Agriculture and Livestock Emissions), coordinato da Università Bocconi e realizzato in partnership con il Centro EuroMediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e Legambiente Lombardia, ha studiato in quali termini le emissioni derivanti dall’agricoltura concorrano ad elevate concentrazioni di particolato e, di conseguenza, possano determinare un connesso aumento di rischio sanitario per la popolazione in Lombardia. Dalla ricerca emerge la necessità, per le politiche di riduzione dell’inquinamento, di non ignorare le emissioni derivanti da fonti agro-zootecniche (ammoniaca), agendo allo stesso tempo sul fronte degli inquinanti da traffico (NOx). 

“Ci siamo focalizzati sui dati di ARPA Lombardia, in particolare sulle concentrazioni di PM10 secondario (nitrati e solfati di ammonio), ammoniaca, ossidi di azoto, PM2,5 e PM10 totali” ha spiegato Lara Aleluia Reis, scientist presso l’istituto di ricerca RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment (EIEE) del CMCC e coordinatrice del progetto INHALE.

“Attraverso metodi di machine learning, abbiamo scoperto che durante il lockdown del 2020, nonostante lo stop di molte attività economiche e del traffico, le concentrazioni di aerosol secondari inorganici non sono diminuite quanto ci si sarebbe potuti aspettare, perché non sono diminuite le emissioni del settore agricolo. Abbiamo inoltre stimato l’impatto di un singolo capo di bestiame sulla qualità dell’aria, rilevando che un aumento di un punto percentuale di bovini determina un aumento dell’1,8% nelle concentrazioni di ammoniaca e dello 0,8% nelle concentrazioni di PM10, mentre un aumento dello 0,3% di suini si traduce in un aumento medio dello 0,26% nelle concentrazioni di ammoniaca e dello 0,03% nelle concentrazioni di PM10. Questo lavoro ci ha infine permesso di fare previsioni per minimizzare la dispersione degli inquinanti in atmosfera e, di conseguenza, l’impatto sulla salute umana”.

Quanto siano importanti, alla luce di quanto su esposto, gli impianti per generare Biometano agricolo si comprende pensando ai milioni di metri cubi di ammoniaca libera in meno! 

Gli impianti di Biometano agricolo, che sono una “evoluzione” degli Impianti Biogas (per cui possiamo contare in Italia, su una trentina di anni di “case history or study”), rappresentano vera e propria “manna dal cielo” per ogni territorio votato alla agricoltura.

L’agricoltura inquina: la produzione alimentare è una delle principali fonti di emissioni di gas serra, contribuendo per oltre il 25% al problema globale. Un aspetto significativo di questo impatto ambientale è rappresentato dalle emissioni di CO2, con il settore alimentare responsabile del 26% delle emissioni totali. In aggiunta, si stima che gli allevamenti di bestiame causino metà delle emissioni di metano e quasi la totalità delle emissioni di ammoniaca riconducibili ad attività umane. L’ammoniaca, oltre a essere dannosa per l’ambiente, è associata alla formazione di polveri sottili, che causano l’inquinamento atmosferico, con conseguenze tragiche – si stimano circa 7 milioni di morti premature ogni anno. Tutte le deiezioni animali dovrebbero finire in questi impianti, che ne sequestrano le emissioni.

Tutti i campi dovrebbero essere concimati (si dice “fertil-ammendati biologicamente”) con digestato agricolo, molto meglio con il compost derivato, con un taglio verticale di polveri sottili, CO2, odori, AMMONIACA LIBERA e udite, udite…fertilizzanti chimici!

 

Biometano agricolo

 

La fertilizzazione di sintesi 

Abbiamo già parlato ampiamente, in altri articoli che vi invitiamo a leggere in relazione alla  questione dei fertilizzanti chimici (in particolare azotati), dell’inquinamento dell’aria e la formazione di polveri sottili, dell’ammoniaca, del deperimento della microflora batterica umificante del terreno e del contenuto organico (ossia di carbonio) dei terreni di coltivazione pericolosamente basso causa la conseguente desertificazione, incapacità di trattenuta dei nutrienti dei substrati e di acqua. 

Ricordiamo qui che la concimazione chimica comporta emissioni di CO2 sia in fase di  produzione dei fertilizzanti che nel terreno dove causano l’impoverimento del patrimonio di batteri umificanti, la diminuzione della quantità di humus, la riduzione della biodiversità. Anche con la concimazione chimica si generano emissioni di ammoniaca non minori dello spandimento diretto di deiezioni animali (che però incrementa biodiversità, sostiene la microflora batterica e il contenuto di humus). 

I fertilizzanti impiegati sui terreni presentano sempre una forma di azoto idrosolubile – immediatamente disponibile per le piante –  per cui, con le piogge o l’irrigazione, si liberano quantità di ammoniaca in atmosfera micidiali per la qualità dell’aria.

È facile capire che invece della concimazione chimica, dovrebbe essere sempre impiegato compost biologico agricolo. Perché questo presenta dei Sali di azoto, grazie alla digestione, e ancor meglio al compostaggio, che sono sempre biodisponibili ma più stabili (meno idrosolubili, a lenta cessione e scioglimento) alla azione dell’acqua (di coltivazione, che sia pioggia o irrigazione).

Il migliore compost biologico esistente (il che significa ammesso all’impiego in agricoltura biologica, sempre e per legge), con quello proveniente dall’allevamento dei lombrichi, è proveniente dagli impianti Agricoli di Biometano ad alimentazione mista vegetale-deiezioni (da ruminante, in particolare). 

Ed è il migliore che compriamo – senza saperlo – “carissimo” nei garden, sfuso o insacchettato, se vi è scritto “di alta qualità”. Tutti gli altri compost, di mediocre fattura e qualità, sono provenienti da compostaggi ordinari di biomasse dubbie e non digestati, che potevano essere in origine veri e propri rifiuti. 

 

Biometano agricolo compost

 

Compost organico significa fertilità del suolo

L’apporto di carbonio nei terreni rappresenta una ricchezza imprescindibile per la loro fertilità e biodiversità. La fertilità dipende dal contenuto di carbonio organico nei terreni: più è alto il contenuto di questo, maggiore è la possibilità di mantenimento e sviluppo della microfauna batterica umificante, responsabile della formazione di humus. La capacità di germinazione, di radicazione, di alimentazione di ogni essenza dipende naturalmente dal contenuto di humus. L’humus è una macromolecola naturale con spiccata natura colloidale ovvero che può catturare i nutrienti, sia gli oligoelementi che i microelementi affinché non dilavino nelle falde e rendere disponibili gradualmente all’assorbimento radicale. 

L’humus migliora la ritenzione idrica del terreno ovvero trattiene l’umidità nei terreni sabbiosi ma aiuta la resistenza al compattamento di quelli argillosi.   Gli impianti di biometano agricolo in particolare, mentre contribuiscono alla decarbonizzazione dell’atmosfera, permettendo la sottrazione stabile del carbonio introdotto per alimentarli, ci possono restituire un fertilizzante organico naturale che è straordinario soprattutto quando compostato, perché presenta l’azoto in una forma tale da “non liberare” (oltre l’80% in meno, rispetto alle deiezioni animali, secondo le stime) ammoniaca in atmosfera. Migliorando tremendamente la qualità dell’aria!

 

La diffusione degli impianti di Biometano agricolo

Gli impianti agricoli di Biometano possono essere diffusi in funzione della possibilità di utilizzare i sottoprodotti dell’agricoltura e le deiezioni degli allevamenti locali, quantomeno per la maggior parte del proprio fabbisogno della digestione anaerobica.

Questi impianti utilizzano sottoprodotti dell’agricoltura e della prima lavorazione dei prodotti agricoli, come materie prime, e non colture agricole, che opportunamente siano reperibili in un raggio dall’insediamento inferiore ai 30 km. Per le deiezioni animali, di ruminante in particolare, il raggio di reperimento può considerevolmente aumentare. Essendo materie prime di pregio, con un valore agronomico che può essere rilevante per le aree che ne sono sprovviste (ove cioè non ci sono allevamenti). 

 

Su Biometano Agricolo, Reato Energie dice di sì

Come approfondito, gli impianti di Biometano agricolo rappresentano una soluzione concreta per la riduzione delle emissioni di gas serra, la decarbonizzazione dell’atmosfera, taglio della ammoniaca libera e miglioramento della qualità dell’aria. Scopri da vicino il nostro progetto AReA BIO GNL Srl a Villanova del Ghebbo. 

Questo è il nostro contributo.

Il nostro mestiere è…migliorare l’ambiente in cui viviamo! Entra anche tu a far parte del cambiamento!

 

AREA bio gnl srl

ing. pierluigi Reato

dott.ssa Renata Rogo